Chi è San Martino

LA VITA DI S. MARTINO DI TOURS di Pier Luigi Chierici

Chiacchierata fra casalecchiesi sulla figura storica del loro Protettore

La devozione a S. Martino nel Bolognese.

Martino di Tours, il Santo protettore dei militari, dei sarti, degli osti e dei mercanti.

Nella Diocesi di Bologna gli erano dedicate 20 parrocchie (alcune ora diventate chiese sussidiali, per ragioni demografiche o mancanza di sacerdoti) ma tutte chiese molto antiche, citate nel famoso “Registro del 1300”.

Queste parrocchie erano a:

Ancognano, Battedizzo, Buonacompra (vicino a Cento), Caprara sopra Panico, Casalecchio, Casola, Castagnolo Minore, San Martino in Argine, Massumatico (vicino a San Pietro in Casale), Medesano (vicino a Medicina), Montecalderaro, Pedriolo, Prada (Carbona), Roffeno Musiolo, Soverzano dei Manzoli, Tignano, Trasasso, Rocca Corneta.

Anche in città v’era una chiesuola isolata, che troviamo già citata in documenti del 1217: San Martino dell’Aposa. Nel 1263 arrivarono a Bologna i Carmelitani, un ordine eremitico, e chiesero e di potersi installare con un loro eremo fuori dalle mura della città (in quel tempo bisogna riferirsi alla Cerchia del Mille). Venne loro assegnato il terreno fra il Canale delle Moline ed il fiume Aposa, con la sovrastante chiesetta di San Martino, perché era una zona disabitata ed inselvatichita. I Carmelitani vi si insediarono e, fra il 1293 ed il 1305, vi costruirono quella splendida chiesa di S. Martino che, nelle sue linee, anticipa l’architettura di San Petronio. Nel frattempo i Carmelitani bolognesi si erano trasformati da Ordine eremitico a cenobitico e questo convento divenne un importante centro culturale e di studi musicali. Quando, nel 1807, l’Ordine fu soppresso da Napoleone, in S. Martino di Bologna c’erano ben 59 sacerdoti. I Carmelitani poterono tornare nella loro chiesa solo nel 1936, grazie all’ impegno del Card. Nasalli Rocca.

C’erano poi, particolarmente nel forese, altre cappelle, spesso private, dedicate a San Martino di Tours, testimonianze di un culto antico, diffuso, particolarmente sentito dalla popolazione.

Il quadro storico.

Chi era Martino di Tours?

Il Santo nacque nel 316 e morì nel 397.

Erano anni difficili, cruciali. Le persecuzioni contro i Cristiani erano terminate da pochi anni (nel 313). L’Impero Romano, almeno nella parte occidentale, viveva gli ultimi bagliori del suo autunno.

La personalità e l’esempio di grandi Santi, come Antonio abate (290 – 355 c/a), Ambrogio (339 – 397), Agostino (354 – 430), Ilario (310 c/a -367), Paolino da Nola (353 – 431) portava rapide conversioni in ampi strati delle popolazioni di tutte le città, anche se gli antichi culti rimanevano pervicacemente nelle campagne (da cui il termine “paganesimo“ per indicare la religione ancor praticata nei “pagi”, i villaggi isolati).

L’aristocrazia senatoria aveva ceduto i comandi militari a gente nuova, proveniente dai ranghi dell’ esercito. Queste persone, promosse per meriti di guerra, spesso erano di origine barbarica, ma erano ben romanizzati nell’animo.

Anche se le classi sociali erano state cristallizzate per legge da una costituzione dell’Imperatore Diocleziano, per cui ciascuno era obbligato a fare lo stesso lavoro del padre, attraverso il servizio militare si potevano rompere questi vincoli giuridici, avere una mobilità sociale e formare una nuova aristocrazia per meriti. Questi funzionari, questi “ homines novi “ erano estremamente aperti alle novità.

Il quadro geografico.

Diamo un sintetico quadro geografico, nel IV secolo, dei luoghi nei quali si mosse Martino. Egli nacque in Pannonia, l’odierna Ungheria, in una guarnigione del confine orientale dell’Impero. Studiò in Italia, a Pavia, ed in Italia tornerà in seguito.

La maggior parte della vita, invece, Martino la trascorrerà in Gallia. Secondo Orosio, un autore contemporaneo ai fatti che narriamo, la Gallia era allora divisa in 4 Province: Aquitania,

Gallia Narbonese,

Gallia Belgica

Gallia Lionese.

L’Aquitania, a sua volta, era divisa in 3 Diocesi (=Sottoprovince):

Aquitania Prima,

Aquitania Seconda

Novempopulonia.

L’attività del Santo si svolgerà particolarmente in Aquitania, in queste tre “ Diocesi” (Termine da intendere nel senso di “Ripartizione amministrativa”, non in quello ecclesiastico di “ Territorio sul quale esercita le sue funzioni il Vescovo”, anche se il secondo significato deriva proprio dal primo).

A questo punto si inseriscono nella storia due personaggi, dei quali dobbiamo occuparci perché è proprio a loro che dobbiamo le prime notizie su Martino.

Le fonti storiche.

Paolino, prima di esser detto “da Nola”, era di Bordeaux ed era colà nato, in una ricchissima famiglia di rango senatorio: egli ebbe i migliori maestri, fra i quali il retore Ausonio erudito e sensibile, Paolino si distinse come poeta. Come si conveniva per i giovani della sua condizione sociale, Paolino venne mandato a Roma, ove fu accolto in Senato, ricoprì importanti incarichi al vertice della pubblica amministrazione, infine venne nominato governatore della Campania, dove la sua famiglia aveva altri vasti possedimenti. Dopo questi successi nell’alta società, Paolino volle tornare a Bordeaux per dedicarsi solo agli studi ed alla poesia. Sposò una spagnola, Teresia, che gli portò in dote altre ricchezze. Paolino e Teresia potevano dirsi tranquilli e felici, ma il destino era in agguato: il loro figlio morì giovanissimo. Disperati, i due genitori trovarono conforto nel Cristianesimo. Di comune accordo si convertirono, si fecero battezzare e si ritirarono a vita monastica, Paolino morirà a Nola, dove era stato eletto Vescovo. I suoi scritti sono una importante fonte storica sul Cristianesimo di quei tempi.

Anche Sulpicio Severo apparteneva ad una ricchissima e nobile famiglia di Bordeaux. Egli era amico di Paolino e, forse, fra loro erano anche parenti; li accomuna comunque il piacere della lettura e l’ amore per la poesia: Sulpicio era uno scrittore terso e pulito, che conosceva i classici latini. Anche Sulpicio aveva sposato una donna ricca e del suo rango, ma il matrimonio era finito tragicamente, perché la moglie era morta giovane. Il grande dolore fece avvicinare Sulpicio alla suocera, Bassula, che era cristiana e gli fece conoscere il conforto della fede. Quando Paolino seppe del cambiamento di vita dell’ amico, gli suggerì di andare ad incontrare il Vescovo di Tours, un ex militare, Martino si chiamava, del quale tutti parlavano così bene. Paolino stesso lo aveva conosciuto, tempi prima, ad un sinodo che si teneva a Vienna, una cittadina sul Rodano, sotto Lione, e ne era rimasto colpito, affascinato da questa prorompente personalità. Quel giorno, a Vienna, c’erano proprio tutte le massime Autorità ecclesiastiche della Gallia perché si doveva decidere l’assegnazione fra le varie chiese di un frammento delle reliquie dei Santi Gervasio e Protasio, che erano state inviate dal Vescovo di Milano Ambrogio (S. Ambrogio).

Sulpicio Severo si lasciò convincere da Paolino ed affrontò il disagevole viaggio da Bordeaux a Tours, per conoscere il Vescovo di quella città e così avvenne. Non solo: Sulpicio rimase tanto affascinato dalla figura di Martino da decidere di seguire il suo esempio. Era poi quello che Paolino aveva sperato. Però Sulpicio Severo, che era e restava un intellettuale razionalista, si era posto un problema: perché Martino, all’apice di una brillante carriera militare, aveva fatto questa scelta drastica di vita religiosa? Per dare una risposta a questa domanda ed anche per far meglio conoscere la figura e l’esempio del Santo Vescovo di Tours, Sulpicio decise di scriverne la vita. Egli svolse questo compito con impegno, recandosi più volte a Tours, raccogliendo informazioni dirette, testimonianze, racconti, infine intervistando proprio il Vescovo Martino, del quale diviene un figlio spirituale. Nasce così “ Vita Martini” (La Vita di Martino), un testo straordinario, nel quale si descrive l’attività non di un vescovo tradizionale, ma di un vescovo che vuol restare monaco e, pur vivendo in un eremo fuori dalla città e lontano dalla cattedrale, riesce egualmente a portare avanti la sua missione, con tutti gli impegni pastorali ed anche le inevitabili beghe burocratiche.

Il test della “Vita Martini” non è un caso isolato nella letteratura agiografica. Proprio in quegli anni si stava diffondendo in Europa la vita di S. Antonio abate scritta da Atanasio di Alessandria, poi circolavano da tempo gli “ Acta Martyrum” (Racconti dei Martiri), però il caso di Sulpicio Severo è diverso perché egli è un vero scrittore, un letterato finissimo, che ha preso come modello le biografie scritte da autori classici, le tante “Vite degli Uomini illustri” che si potevano trovare nelle biblioteche del tempo. Sulpicio si rifà a modelli noti e segue uno schema che è tipico per questo genere letterario:

A) Cronologia dei fatti;

B) Temi della vita del personaggio;

C) Ritratto finale.

Nella cronologia, fin dai primi episodi dell’ infanzia, si notano dei segni che anticipano gli sviluppi futuri.

La Vita di Martino è divisa in 27 paragrafi che sviluppano lo schema del genere biografico:

A) Infanzia, vita militare, conversione, formazione cristiana, esperienza monastica, episcopato, fondazione del Monastero di Marmoutier;

B) Opera di Martino, conversione dei pagani, guarigione dei malati, liberazione degli ossessi;

C)Virtù ascetiche e personali di Martino.

Il problema è: questo libro è attendibile? O è solo un libello di propaganda? Belle domande! Certo si notano delle incongruenze dovute ad artificio letterario e si vedono anche diversi tentativi di adattare i fatti raccontati a determinati modelli (specialmente i Vangeli) per ottenere una aderenza piena ed assoluta; si capisce anche che l’Autore è di parte ed è un seguace del personaggio descritto. Tutto questo è vero, però dobbiamo considerare che l’opera di Sulpicio venne scritta e cominciò a diffondersi quando Martino era ancora in vita. Se ci fossero state inesattezze lo stesso protagonista o qualche suo detrattore (ce n’erano!) avrebbe potuto confutare le inesattezze o le falsità. Sulpicio, successivamente, racconterà la morte del Vescovo Martino in alcune lettere (che ci sono pervenute) e che rappresentano quasi una appendice della Vita e la sua conclusione. Sulpicio Severo tornerà ancora sulla figura di S. Martino in un Dialogo che ha per protagonisti Postumio, Gallo e lo stesso Sulpicio, nel quale viene elogiata l’opera del Vescovo di Tours. Sulpicio morirà nel 420.

Chi era Martino?

Sulla vita del Santo esistono solo due date sicure: quella della morte, avvenuta nell’ anno 397, e quella dell’ elezione a Vescovo (370- 371). Le altre date, come la nascita e, ancor più, le tappe del servizio militare, sono difficili da stabilire. Sulla base degli ultimi studi storici, cerchiamo di dare una cronologia attendibile.

Martino nasce nel 336 a Sabaria, un importante centro di confine della Pannonia Inferiore. La località oggi si chiama Szambatkely ed è in Ungheria. Là il padre era di guarnigione. Fuori dalle mura cittadine anche oggi c’è una chiesetta intitolata a S. Martino; la tradizione vuole che sia stata costruita ove era la casa natale del Santo. Nel 336 Sabaria era una fortezza, centro di smistamento delle truppe. La presenza di soldati provenienti da tutte le province dell’ Impero e dei mercanti che confluivano a questo nodo stradale aveva portato, in quel che si sarebbe pensato il luogo più remoto della civiltà, tutte le religioni e tutti i culti del mondo sotto Roma, compresi quelli di Baal e Mitra ed anche dei Cristiani.

Il padre di Martino era un militare ed aveva fatto una carriera incredibile, raggiungendo il grado di “Tribunus Militum“, che era normalmente riservato solo ai membri dell’ aristocrazia senatoria. Probabilmente la famiglia di Martino era originaria della Gallia: si fanno vaghi riferimenti a dei parenti che là vivevano, ma ciò spiegherebbe anche meglio perché la maggior parte della vita del Santo si sia svolta in quel Paese.

La professione del padre spiega anche il nome dato al bambino: Martino, Piccolo Marte, in omaggio al dio della guerra. L’aver dedicato il figlio a Marte prefigurava già le speranze del genitore di avviarlo ad una brillante carriera militare.

Non sappiamo dove il “piccolo Marte” abbia conosciuto il Cristianesimo; La sua famiglia era sicuramente pagana. A Sabarìa, nel 310, pochi anni prima, c’era sta una delle ultime persecuzioni ed era stato martirizzato il Vescovo Quirino, gettato nel fiume con una pietra al collo perché Cristiano. L’episodio ave lasciato una profonda impressione nella gente e la prima chiesa che verrà costruita sul posto sarà intitolata a S. Quirino.

Per motivi di servizio il padre di Martino venne trasferito a Pavia e qui il ragazzo venne allevato e gli fu impartita quella istruzione che sarebbe servita ad avviarlo alla carriera militare. Naturalmente dobbiamo pensare che il giovane abbia ricevuto una educazione solida ma senza fronzoli. Sulpicio Severo sostiene che Martino fosse “illetterato“, ma questa affermazione è frutto della raffinatezza del biografo: un ufficiale dell’esercito romano non era un bruto capace solo di menar le mani ma aveva una cultura adeguata alla sua funzione ed al ruolo in società, anche se non si estasiava per l’eleganza di una composizione o la perfezione di un verso.

Si dice che, all’età di 10 anni, contro la volontà dei parenti Martino scappasse di casa, si rifugiasse in una chiesa chiedendo di essere accolto come catecumeno perché voleva diventare monaco eremita. Questa notizia non sembra credibile ma, piuttosto, una di quelle eleganze letterarie che si trovano in tutte le vite dei santi, per anticipare all’età infantile le virtù che si passeranno in tempi più maturi.

Cosa poteva sapere questo piccolo bambino, che viveva in mezzo ai pagani, sui monaci eremiti, cioè su una esperienza religiosa che era diffusa nelle regioni orientali dell’Impero? Circolava già la Vita di S. Antonio, scritta da Atanasio, dove si parla di S. Antonio abate e di Pacomio, ma non credo che il giovane Martino, pur assennato e voglioso di imparare, a 10 anni si dilettasse di queste letture. Sulpicio, con buone intenzioni, inventò l’episodio della fuga in chiesa, prendendolo, pari pari, dalle vite di altri Santi giovinetti, allora in voga nelle Gallie: S. Tarcisio, S. Agnese e Santa Fede.

A 15 anni Martino entra nell’esercito. Secondo la le legislazione di Diocleziano ogni figlio deve seguire la professione del padre e, dal Codice Teodosiano (Th 7,22,2) sappiamo anche che i figli dei veterani avevano diritto di entrare in cavalleria e venivano loro assegnati due cavalli ed un attendente. Questo passato militare imbarazza molto il suo biografo Sulpicio Felice, che tenta di edulcorarne molto gli aspetti, scrivendo che, in quel periodo, Martino viveva più da monaco che da milite. Effettivamente i soldati dell’epoca non godevano di una immacolata reputazione, né erano personcine ammodo, ma piuttosto omacci truculenti, facili alle risse, a menar le mani e alla perenne ricerca di donne, anche perché il regolamento militare vietava loro di sposarsi, ma non li votava alla castità.

Per il suo agiografo, invece, Martino era differente: non solo si comportava in maniera esemplare, ma mangiava un solo pane e serviva a tavola il suo schiavo. Su questo punto la biografia si fa paradigma del Vangelo, prendendo alla lettera il Pater Noster (“ … dacci oggi il nostro pane quotidiano…“ ed il passo “… fatevi servi …“).

Il famoso episodio del mantello accadde ad Amiens, il capoluogo della Picardia, che, a quel tempo, si chiamava Samaròbriva Ambianorum. La città era una fortezza militare non lontana dal Reno e su un nodo viario fra Gallia, Bretagna e Reno. Martino si trovava colà di guarnigione. Aveva 18 anni ed aveva già raggiunto il grado di “ circitor “, con doppio soldo. Fra i compiti del circitor c’era la ronda notturna della piazzaforte, l’ispezione dei posti di guardia, la sorveglianza notturna della guarnigione.

Una notte di un inverno freddissimo, come sanno esser freddi gli inverni ad Amiens, davanti alla Porta Nord della città, Martino incontrò un povero malvestito ed intirizzito dal freddo. Senza tanto pensarci, il giovane ufficiale con un colpo di spada tagliò in due il suo caldo mantello militare e condivise la veste col povero. L’episodio è stato rappresentato in migliaia di quadri di tutte le epoche, ma nessun pittore ha saputo rendere con esattezza ciò che realmente accadde. L’uniforme militare, nel IV secolo, prevedeva una clamide e, sopra, un ampio mantello bianco, caldo e foderato di pelliccia. Martino non tagliò il mantello a metà, perché sarebbe stata una infrazione del regolamento militare, ma offre al povero la pelliccia interna. Sulpicio Severo, invece, fa un racconto modellandolo tutto sulla parabola del Buon Samaritano: c’è un povero che invoca pietà perché ha freddo, tutti passano indifferenti, solo Martino si rende conto che quel povero gli è stato riservato. Non ha soldi da dargli perché, lungo la strada, ha distribuito tutti i danari che aveva ai vari bisognosi che aveva incontrato; allora non gli rimane che dividere il mantello, ma egli può disporre di solo una arte dell’ uniforme, perché l’altra parte è patrimonio dello Stato e quella metà dona, seguendo l’insegnamento di Gesù : “ Date a Cesare quel che è di Cesare, a Dio quel che è di Dio”.

Nel luogo ove, secondo la tradizione, avvenne l’incontro col povero i fedeli costruirono poi una cappella. Questa si trova davanti alla Cattedrale, sulla strada che dal sagrato scende, a Nord, verso la città bassa.

Scrive Sulpicio che, la notte seguente, Martino avesse avuto una visione: Gesù avvolto nel suo mezzo mantello, lo indicava agli angeli dicendo: “Anche se non mi conosce, mi ha rivestiti del suo abito “, chiaro riferimento al Vangelo di Matteo.

Nel periodo in cui era ad Amiens non era ancora Cristiano, ma non sappiamo se era già catecumeno, anche perché la Chiesa dei primi secoli era piuttosto cauta nell’ ammettere al catecumenato (cioè il periodo di studio e preparazione che precede l’accesso ai sacramenti, oggi diciamo “ il catechismo”, o più semplicemente “ la dottrina”). Finché c’erano state le persecuzioni tale cautele erano motivate dal pericolo di fare entrare degli infiltrati, poi sarà solo l’inopportunità di accogliere degli approfittatori.

L’episodio del mantello convinse Martino ad aderire al Cristianesimo, chiedendo il catecumenato e ricevendo il Battesimo immediatamente a Pasqua (anno 339), poi sarebbe rimasto ancora nell’ esercito per due anni prima di presentare le dimissioni.

Questa cronologia non torna perché, secondo le disposizioni del Papa Siricio del 386 (Patrologia Latina XII col 1155) e di Damaso (Can. Ad Gallos 7) dell’ anno 370, gli ex militari non potevano diventare sacerdoti. Queste due norme, che sono comunque posteriori, raccoglievano una corrente di pensiero ben radicata, specialmente nella Gallia.

Secondo alcuni storici accreditati, Martino continuò il servizio militare per altri 20 anni, come ufficiale delle “Alae Scolares”, si sottopose a due anni di catecumenato e dovrebbe esser stato battezzato nel 354 – 355, forse dal Vescovo Eulogio, ma sono tutte notizie incerte.

Anche la questione del rapporto fra il Cristianesimo ed il servizio militare era tutta in evoluzione. I Papi stavano a Roma, che era solo la capitale morale e storica dell’Impero, mentre l’esercito stava a più di mille chilometri di distanza. Ogni giorno aumentava il numero dei soldati che si convertivano seriamente al Cristianesimo e volevano chiarezza sulla loro posizione morale. Allora i Vescovi delle Gallie elaborarono una dottrina sulla liceità della guerra, distinguendo fra guerra giusta e guerra ingiusta. E’ netta la convinzione che l’Impero Romano sia il baluardo della civiltà ed il mondo esterno sia solo caos e barbarie. Quindi l’Impero deve essere difeso. Nei tempi del primo Cristianesimo alla domanda se il cristiano possa fare il soldato la risposta avrebbe dovuto essere NO; adesso che i cristiani nella politica come nell’esercito detengono molte leve del potere, la risposta può anche essere SI’, rimanendo fermo il principio che l’Impero Romano debba essere difeso dalle aggressioni esterne.

Perciò Martino poté continuare la sua carriera in piena coscienza. Sulpicio Severo però si cautela, sostenendo che la rafferma di Martino veniva caldeggiata dai soldati e dai superiori, che, rispettivamente, ne apprezzavano le doti di umanità e le virtù militari.

Sempre secondo Sulpicio l’abbandono dell’esercito sarebbe avvenuto a Worms e, se i fatti fossero proprio avvenuti in questo modo, la rottura sarebbe stata clamorosa.

L’esercito era schierato, pronto per attaccare battaglia, e l’Imperatore Giuliano l’Apostata lo stava passando in rassegna.

Allora Martino uscì dai ranghi e dichiarò all’Imperatore, citando il Vangelo di Matteo, che la sua coscienza gli impediva di essere servitore di due padroni, perciò si sarebbe dimesso. Giuliano rispose che era tradimento e viltà abbandonare l’esercito prima della battaglia ed avrebbe condannato ad una pena infamante quell’ ufficiale pauroso. Martino apostrofò l’Imperatore: “Per mostrare il mio coraggio affronterò il nemico da solo, disarmato ed in campo aperto e lo farò ritirare !”.

Così avvenne. Martino uscì dalla fortezza, andò incontro allo schieramento nemico e si mise a pregare. I barbari, impressionati dalla scena, si ritirarono senza attaccare battaglia.

Il racconto di Sulpicio Severo è mutuato pari pari dagli Acta Martyrum e sa tanto di artificio letterario, quindi sembrerebbe poco credibile. Però è vero che, davanti a Worms, i barbari si arresero senza dar battaglia e l’avvenimento è documentato dallo storico Ammiano Marcellino. Questa vittoria senza spargimento di sangue verrebbe attribuita al Santo come primo miracolo, l’inizio della sua futura carriera da taumaturgo.

Da ufficiale a monaco.

Dopo questi avvenimenti vi fu un effettivo periodo di pace e Martino colse l’occasione per congedarsi con onore. Se lo avesse fatto prima si sarebbe trascinato dietro una macchia imbarazzante (pensiamo al romanzo di A.E.W, Mason “ Le quattro piume”, o almeno ad una delle cinque versioni cinematografiche che ne sono state tratte! ).

Ora che è un privato cittadino, Martino può dedicarsi pienamente ad approfondire la dottrina cristiana ed entrare nelle questioni della fede. E’ in questo periodo che sente parlare di “ Colui che, dopo Cristo, rappresenta l’ideale di vita cristiano” : il Vescovo di Poitiers, Ilario (S. Ilario di Poitiers).

Ilario era nato verso il 300, apparteneva ad una illustre famiglia, aveva avuto una eccellente educazione che gli aveva permesso di farsi una cultura universale, aperta a tutti i rami del sapere (ancor oggi è considerato un Dottore della Chiesa ).

Ilario era stato battezzato nel 350, poi era stato nominato Vescovo di Poitiers. Qui egli si distinse nella lotta contro le nascenti eresie, in particolare quella di Ario.

Per farsi confermare nell’ ortodossia della fede cristiana, Martino attraversò tutta la Gallia ed arrivò a Poitiers da Ilario, che lo accolse come figlio spirituale e fidato collaboratore.

Per la Chiesa erano tempi brutti: non c’erano più le persecuzioni, però si stavano diffondendo le eresie, interpretazioni distorte del messaggio evangelico. L’eresia ariana perturbò la Chiesa del IV secolo. Era dovuta al prete libico Ario (256 – 336) il quale insegnava che in Dio non ci sono tre persone distinte e coeterne ed in tutto uguali, ma una sola persona, il Padre, che creò dal nulla il Figlio, la prima e la più eccellente delle creature. Il Padre, che noi, impropriamente, chiamiamo Dio, adottò il Figlio e lo colmò di grazie, facendolo compartecipe della Creazione. Lo Spirito Santo, a sua volta, deriva dal Figlio. Quindi Gesù non sarebbe vero Dio, ma solo Dio per adozione e la sua umanità sarebbe priva di animo umano.

L’arianesimo, condannato dal Concilio di Nicea, si era diffuso in quei popoli che erano stati convertiti da missionari ariani; poi ebbe anche degli appoggi politici, per cui diventava difficile estirparlo.

L’ortodossia e la fede di Martino fecero una così buona impressione di fronte al Vescovo Ilario che questi gli affidò degli importanti incarichi di Curia, però Martino rifiutava, perché si sentiva indegno. Non dobbiamo meravigliarci che degli impegni fossero dati ad uno che, in fin dei conti, era il primo venuto ed anche battezzato da poco. Però allora Poitiers andava considerata come “terra di missione“ in un paese ancora fortemente pagano ed il clero doveva essere esiguo. Per questa considerazione Martino non poté esimersi dall’accettare almeno il primo gradino degli ordini minori, l’esorcistato, che, allora, veniva conferito privatamente dal Vescovo, senza complesse cerimonie.

Il nuovo esorcista rimase a Poitiers qualche tempo, poi chiese di tornare in Pannonia. Non si sanno i motivi del viaggio (che durò 4 anni): forse voleva solo incontrare i genitori, che erano rientrati nella loro vecchia casa.

Fu un viaggio avventuroso (come normalmente lo erano a quei tempi) ma Martino superò tutti i pericoli: al Passo del Piccolo S. Bernardo convertì addirittura un brigante che lo voleva rapinare; a Milano litigò, per strada, col Diavolo che voleva fermarlo. Forse Martino non incontrò proprio il Diavolo in persona ma solo l’Imperatore Costanzo II, che era ariano e perseguitava i cristiani che vivevano nell’ortodossia, però, nella penna di Sulpicio Severo, gli attacchi diabolici rendevano la Vita di Martino simile a quella di S. Antonio abate.

Arrivato fortunosamente al paese natio, Martino rivide, dopo tanti anni, i suoi, che erano ancora pagani. Egli riuscì a convertire la madre, ma il padre rimase pervicacemente fedele agli antichi Dei di Roma. La Pannonia però era in mano agli ariani e Martino si attirò le ire del poco tollerante clero locale. L’ex militare fu minacciato di morte ed anche bastonato. Allora egli comprese pienamente il versetto del Vangelo di Matteo: “ Se vi cacciano da una città, andate in un’altra…” ed iniziò il viaggio di ritorno puntando su Milano.

Milano era, allora, una delle 4 capitali dell’ Impero, la più importante e Martino pensò di costruirsi un “monasterium” fuori dalle mura. Cosa abbia fatto veramente non è chiaro, perché il termine è vago: potrebbe essere una capanna, una casipola in un luogo isolato dove vivere in preghiera, meditazione e penitenza. Però anche il clima di Milano è pericoloso, perché il Vescovo è ariano. Martino però conosce un prete che ha il suo stesso zelo ed il suo stesso entusiasmo ed i due progettano di rivivere la stessa esperienza di S. Antonio abate, vivendo senza compromessi la vita degli eremiti. Scelgono l’isola di Gallinara, sulla costa ligure, fra Alassio ed Albenga. L’eremo fu più duro del previsto: c’era pochissima acqua da bere ed il cibo era costituito solo da erbe selvatiche e radici. Poco pratici di botanica, i due eremiti finiscono col cibarsi di piante velenose che li riducono quasi in fin di vita. Per salvarsi i due romiti pregano e pregano ancora: le difficoltà, anziché deprimerli, li hanno esaltati, perché vedono attuarsi tramite loro le parole del Vangelo di Matteo (16 – 17 ): “… ecco i segni: coloro che ci hanno creduto … berranno pozioni mortali, ma non faranno loro alcun male …”.

Episodi del genere si leggono in tutte le Vite dei Santi eremiti, ma non è che Sulpicio qui si sia abbandonato necessariamente a qualche eleganza letteraria. Queste erano effettivamente le difficoltà, i pericoli ed i rischi di chi sceglieva la vita eremitica.

Anche se isolato, a Martino arrivano delle notizie da Poitiera: Ilario era stato cacciato dagli ariani però, dopo un periodo di esilio, era riuscito a rientrare in città ed a riprendere il suo magistero; ora chiedeva a Martino di raggiungerlo perché aveva bisogno di persone sicure e fidate. Di fronte all’appello del maestro spirituale, Martino risponde con filiale devozione e parte per Poitiers. Siamo nel 360.

Dopo l’incontro commovente, Ilario chiede se Martino può aiutarlo nei suoi compiti e Martino non rifiuta, però mette la condizione di poter vivere da monaco e si ritira a Ligugé, località ad 8 km. da Poitiers. Il luogo scelto è costituito dalle rovine di una fattoria romana, distrutta dalle invasioni degli Alemanni, nell’ anno 276. Il suo nome antico era Locoteiu o Locotgìacum; una campagna di scavi archeologici, nel 1945, riportò in luce queste rovine e gli ambienti del “ Monasterium” martiniano.

Attorno a Martino si riuniscono altri eremiti, attratti dal suo carisma.

A questo punto si pone un problema.

Essere Eremiti (o, con termine greco, anacoreti , da anacoresis = allontanamento) vuol dire vivere soli e lontano da tutti.

Quando le persone religiose intendono costituire una comunità si chiamano cenobiti (da Koinohion = vita comune).

Qui ci troviamo in una situazione che non è né di vita eremitica, né cenobitica, Tutti vivono nella loro capanna, soli, però ad un tiro di voce l’uno dall'altro. Siamo di fronte ad un eremo cenobitico, situazione non nuova, che richiama l'esperienza di S. Antonio e degli anacoreti della Tebaide, in Egitto.

A Ligugè non c’e una Regola (come quelle che detteranno S. Benedetto o S. Colombano) ma solo una prassi: ciascuno conduce da solo la sua esperienza mistica, per ritrovarsi nella cappella solo per la celebrazione della S. Messa e la recita dell'Ufficio divino.

Martino passò da Ligugè l0 anni. In questo periodo operò un grande miracolo.

S. Ilario aveva mandato a Ligugè un catecumeno, perché incontrasse Martino, ma questi era fuori sede, perché era stato chiamato da altre parti. Mentre stava aspettando, il catecumeno si ammalò e morì senza battesimo. Al rientro, Martino si disperò per quell'anima che aveva perduto. Guardò il morto, fece allontanare tutti e chiudere la stanza, poi si pose sul cadavere, corpo a corpo, bocca a bocca, occhi a occhi, mani a mani ed invocò lo Spirito Santo. Lo Spirito Santo scese e resuscitò il morto, che venne immediatamente battezzato.

Qualche tempo dopo Martino resuscitò un piccolo schiavo .

Un Vescovo Monaco.

Nel 351 a Tours morì il Vescovo Lidoire. La fama di Martino era tanto grande che gli abitanti della città avrebbero voluto averlo come Vescovo, ma egli rifiutò.

Allora un certo Rusticus (un personaggio influente, forse di origine romana) si recò a Ligugè e disse che sua moglie era ammalata e chiedeva un intervento del Santo. Questi si alzò per andare a visitarla, ma fuori c'era un drappello di cittadini di Tours che lo scortarono in città come prigioniero e, man mano che il gruppo attraversava la Gallia , si ingrossava per le persone che venivano a vedere il portento ed accrescevano la massnada.

L'episodio è curioso e può essere letto in tre maniere diverse, tutte compatibili l'una l'altra.

A) ASPETTO STORICO: è una testimonia di come venissero eletti i Vescovi in questi secoli.

B) ASPETTO SIMBOLICO: Martino è pregato di intervenire come, nei Vangeli, era pregato di intervenire Gesù. L’attività del Santo era una piena imitazione di Cristo.

G) ASPETTO ANALOGICO : c'e effettivamente una sposa ammalata: non è le moglie di

Rusticus, ma la chiesa di Tours.

Così Martino si ritrova Vescovo suo malgrado. In questi anni sono frequentissimi gli esempi di Vescovi loro malgrado (e tutti Santi!)

Paolino di Nola

Paoliniano, fratello di S. Gerolamo

Macedonio

Daniele lo Stilita

Ambrogio

Agostino ....

Per l’elezione a Vescovo, in quei secoli, è fondamentale la presenza e l'acclamazione del popolo cristiano. Solo più tardi, per assicurare un controllo sulle qualità dei candidati, l'approvazione popolare venne resa successiva ad una pre-valutazione da parte del clero, dei magistrati e dei nobili.

In questa occasione il clero di Tours avrebbe avuto un suo candidato, ma il popolo vuole Martino, che si presenta vestito da anacoreta, con la barba incolta ed un aspetto poco curiale.

Martino accetta, me dice che vuol continuare a fare il monaco. Si fa costruire una cella accanto alla chiesa: da una finestra guarda l'interno dell'edificio sacro, dall'altro riceve il sostentamento e dà udienza. La situazione non è nuova: anche S. Girolamo era stato Vescovo ed eremita urbano.

Però la presenza di postulanti, anche per minime cose, è eccessiva e Martino si ritira a due miglia dalla città, in una località isolata, a strapiombo su una falesia lungo i meandri delle Loira.

Il poste venne chiamato MARMOUTIER, che vuol dire GRANDE MONASTERO. Rispetto alle descrizioni che ne dà Sulpicio Severo (che le vide di persona) il luogo è difficilmente riconoscibile, per i mutamenti operati del fiume e dall'uomo, perché Marmoutier diventò un grande monastero, continuamente abitato, fine alle Rivoluzione francese che le distrusse. Di tanto monumento, oggi rimane solo un grande arco e qualche muro ed alcune grotte abitate dei primi eremiti.

Pur vivendo ritirato, Martino era un vescovo impegnato continuamente nelle vita pastorale. Era vescovo in tutte e per tutto, con esclusione di ogni aspetto mondano.

Attorno e Martino si formò una comunità. Alcuni abitavano in casette di legno, altri in grotte scavate nella falesia. Sulpicio Severo disse di aver contato 80 eremiti.

La cifra va però presa con une certa cautela, non dal punto di vista ponderale (c'erano molte decine di discepoli) ma sull'aspetto numerico, perché 80 corrisponde a 8 decine. S. Girolamo dice che i cenobiti, in Egitto, erano divisi per decine (nove uomini e un capo) e dieci decine facevano una centuria. Quindi questo numero 80 sembra voglia collegare direttamente l'esperienze di Martino alle comunità monastiche dell'Oriente.

Per le prima volta Martino dettò una Regola: i monaci devono vivere soli e ritrovarsi solo per la celebrazione delle S. Messe e per l'Ufficio. I vecchi non debbono lavorare: alle cose materiali debbono pensare i giovani. L'unico lavoro consentito è la ricopiatura dei testi sacri, da mettere in comune fra tutti. Non é previsto lavoro servile, perché distrarrebbe gli eremiti delle preghiere. Il Monastero del resto non ha problemi finanziari, perché molti sono i nobili ed i ricchi che si seno ritirati a vite religiosa e costoro hanno messo in comune le loro proprietà, come e previsto negli Atti degli Apostoli. Il monaco deve mortificare la carne, ma non può vivere nell'indigenze, perché le preoccupazioni allontanano della preghiere.

La ricchezza comune é quindi un bene.

Martino sarà Vescovo di Tours per 25 anni, fino alla sua morte.

Martino l’evangelizzatore.

Martino si dedicò all’evangelizzazione delle campagne della Gallia. Qui le situazione era molto complessa. L’antica religione druidica si era facilmente fusa con l'Olimpo romano. In città erano poi penetrati i culti orientali, ma in campagna si continuavano ed adorare gli alberi, le pietre, le acque.

Dove il cristianesimo penetrava, veniva costruita una chiesa, ma era una per città. Se qualche grande proprietario si convertiva, nel suo latifondo veniva costruita una cappella e si provvedeva e battezzare i villici all’intorno, anche se questi battesimi di campagna spesso si adagiavano su un substrato ancora pagano. La parrocchia rurale, in quei secoli, si andava faticosamente costituendo ed ogni vescovo agiva come poteva.

Martino era però un uomo d’azione e costituì, attorno e Tours, una corona di parrocchie nei piccoli centri: Amboise, Langeais, Saunay, Ciran, Tournon , Candes..

I vescovi suoi successori ne fecero, rispettivamente: 5, 4 ed altre 5. Ciò per dire che si andava e rilento.

Era già uso che i Vescovi girassero per le loro chiese e Martino tenne questo compito in gran cura, ma fece anche tanti altri viaggi, non come verrebbe le tradizione (ogni comune francese sostiene di esser stato evangelizzato da Martino!). Sicuramente andò a

BERRY

BORGOGNA

RODANO LIONESE (Vienne)

TREVIRI

Martino si muoveva sempre accompagnato da un drappello dei suoi monaci, procedeva con velocità, compiendo miracoli e facendo conversioni.

Fra l’altro si distingueva nell'impegno a distruggere templi pagani ed abbattere alberi sacri degli antichi culti locali. Questo suo zelo venne giudicato fanatico, nel XVIII secolo, dallo storico inglese Gibbons, ma quelli erano i tempi, tanto è vero che, nel 391, il rettore Libanio chiese all’Imperatore Teodosio di proibire questa opera distruttiva ma, solo dopo che il Cristianesi venne dichiarato religione di stato, i templi furono risparmiati e trasformati in chiese.

Pur di riuscire nei suoi intenti, Martino non esita e sottoporsi all’ordalia. Il “Giudizio di Dio”, come nel caso dell’abbattimento di un pino sacro a Cibele: si pose sotto all’albero che stavano abbattendo, per dimostrare che non ne sarebbe stato sfiorato.

Ad Amboise, con la preghiere, scatenò un tele temporale che fece rovinare un tempio pagano tanto imponente che squadre di operai non sarebbero riuscite ad abbattere.

A Levroux, 25 km. da Tours verso Bourges, c’era un importante santuario pagano. Martino si recò là a distruggere il tempio, ma gli abitanti del posto non volevano. Allora Martino si ritirò per tre giorni in digiuno e preghiera. Al termine di questo ritiro apparvero due angeli armati che tennero lontana la folla, mentre il tempio veniva rovinato.

Vicino a Bibracte, altro centro di culto pagano, uno del pesto, armato di speda, tentò di uccidere Martino mentre, con i suoi monaci ripuliva le città dagli idoli. Martino se ne accorse ed offrì il collo per il sacrificio. Ma l’uomo aveva preso troppo slancio e mancò il facile bersaglio, andando rovinosamente a terra. Allora capì che Martino era l'uomo di Dio, si pentì, chiese perdono e si convertì.

Un giorno, mentre, seduto in un prato, teneva scuola ai suoi monaci, un serpente velenoso si stava avvicinando. Allora il Santo impose al serpente di tornare indietro e quello ubbidì.

Ora non ci si deve fare l'idea che Martino fosse un violento: c'erano, a quel tempo, degli esaltati che veramente perseguitavano i pagani. Martino voleva, invece, persuadere e convincere i pagani del loro errore perché fossero essi stessi a sradicare i posti del vecchio

culto. Ciò faceva con l’esempio e la preghiera.

Martino Taumaturgo.

Molti sono i miracoli attribuiti al Vescovo Martino. Egli era un santo taumaturgo. Taumaturgo vuol dire "spettacolare ed inesplicabile" (del greco TAUMAZEIN). Sulpicio Severo elenca una quindicina di queste guarigioni ed altri fatti miracolosi sono testimoniati da altre fonti.

Uno studioso ha classificato i Miracoli di Martino, classificandoli secondo la loro tipologia:

14 GUARIGIONI

18 AVVENIMENTI NATURALI

8 ESORCISMI

9 INCONTRI CON CREATURE SOPRANNATURALI

5 SOGNI PREMONITORI, PROFEZIE, TELEPATIE, VISIONI

Questa classificazione è, chiaramente, soggettiva.

Sono interessanti le guarigioni: per Martino la malattia, più che avere una causa naturale, è un male dell'anima, generato dal peccato ed è conseguenza della disubbidienza primigenia.

Le guarigioni avvengono spesso seguendo 1'esempio evangelico, attraverso le preghiera, il digiuno e 1'unzione con l'olio Santo, oppure con l'imposizione delle mani.

A Chrtres, presenti il Vescovo delle città Valentino ed il Vescovo Victice di Rouen, fece parlare una ragazze muta ungendole la lingua con l'olio santo.

In altri casi la guarigione avviene in maniera diversa, anche a distanza.

Il Prefetto Arborio, amico di Martino, aveva una figlia gravemente ammalata di febbre terzana. Ricevette una lettera dal Santo e pensò che quello scritto, appoggiato al corpo delle ragazza, la avrebbe guarita. Così glielo mise fra le vesti e la guarigione fu immediata. In questo caso è la stessa fede ed operare (come, nel Vangelo, per il figlio del Centurione).

Un altro amico di Martino, Evanzio, aveva uno schiavo che stava morendo perché morsicato da una vipera. Evanzio si caricò sulle spalle lo schiavo e lo portò dal Santo che, appoggiata le mano sui due fori del moroso, attirò fuori tutto i1 veleno che s'era diffuso nel corpo.

A Parigi mondò un lebbroso baciandolo.

Lo stesso Martino però ebbe un miracolo: una volta rovinò giù da un soppalco delle sue ce1la. Mentre era tutto rotto e malmesso, giunse un angelo, lo unse con un balsamo, lo pose a letto e, il mattino dopo, Martino era completamente sanato.

Un caso curioso è le guarigione di Paolino da Nola. Il fatto avvenne a Vienne, sul Rodano. Paolino ebbe male ad un occhio e non ci vedeva più e Martino, con una pinzetta, ridiede la vista.

Mentre Sulpicio Severo cita questa fra le guarigioni miracolose, Paolino, nei suoi scritti, non ne fa cenno.

Come militare, Martino aveva dalle discrete cognizioni di medicina e, in questo frangente, effettuò una piccola operazione chirurgica sull’occhio dell'amico Paolino, per ridargli la vista. Probabilmente un intervanto sul cristallino (i druidi, stando alla documentazione archeologica, li sapevano fare benissimo!). Il miracolo fu che Paolino non provò alcun dolore durante l'operazione.

Martino praticò molti esorcismi, cacciando i diavoli dagli ossessi.

Il Santo Vescovo ebbe molti contatti col soprannaturale, attraverso sogni, preveggenza, colloqui con gli assenti, incontri con gli angeli ed i santi.

Il Diavolo stesso, quasi quotidianamente, veniva a trovarlo e, questo aspetto della vita, rende Martino simile a S. Antonio abate.

Par Martino, però, la vita spirituale è un combattimento a va affrontata come si affrontano le battaglie.

Le esperienze extrasensoriali sono molte e documentate: attraversava le fiamme, discuteva con i Santi martiri ed aveva colloqui con loro...

Gli ultimi anni furono però amari, perché ebbe contestazioni da un suo discepolo, che aspirava a gloria ed onori (diverrà poi suo successore come vescovo di Tours), dovette sedare delle lotte intestine nel clero. Morì proprio mentre tornava da un viaggio da Candens s Tours, dove era andato a dirimere una questione. Colpito dalle febbri, volle morire come un vero eremita, steso a terra, sopra una semplice pelle di capra.

Venne portato a Tours, dove fu sepolto in un'arca nel cimitero (dove ora sono la Malles). Solo dopo parecchi anni, l’allievo ribelle, che era stato suo successore, per non urtarsi col popolo consentirà che il corpo venisse traslato in una cappella. Nell'anno 496 il re Clodoveo in questa cappella fece voto di farsi battezzare e farà poi costruire la grande basilica che, ampliata nei secoli, sarà poi distrutta dalla Rivoluzione. La ricostruzione dalla Chiesa nelle forme attuali è merito di Napoleone III.

Il Monachesimo Martiniano.

Morto il fondatore, il monachesimo martiniano, che si era diffuso in tutta Europa, lentamente degenerò e si estinse. La Regola era infatti severissima, ma lo spontaneismo, che ere alle base del movimento, non consentiva che effettuasse un filtro sulle adesioni.

L’ammissione ere troppo facile, il periodo di prova era insufficiente, la vita era troppo austera, quindi le defezioni erano continue.

Lo stesso Martino fu tormentato, negli ultimi anni dal suo discepolo Brice, che gli succederà come Vescovo, ma era ambizioso, vanitoso e, per la vita scandalosa, subì una dura censura pontificia.

Comunque noi troviamo, nella diocesi bolognese, alcuni centri monastici che avevano probabili origini martiniane:

GURGO (S. Martino) 848

MASSUMMATIC0 913

ARGINE 1001

Tutti sono nella pianura.

Il nome di S. Martino di Casalecchio lo troviamo citato nel cosiddetto "Privilegium Gregorianum" del 1074 nel quale Gregorio VII conferma le giurisdizioni del Vescovo di Bologna su alcune chiese e conventi, fra i quali il Monasterium Santi Martini in Casalichio e ribadisce che questi privilegi erano già stati concessi dei suoi predecessori.

AGAPIT0 I (535-536)

PELAGIO (556-559)

FORMOSO (89l-896)

Il Privilegium Gregorianum, giuntoci in una copia redatta nel sec. XV dal notaio Rolando Cestellani è però un abile falso. Se però fosse vero, sarebbe documentata la presenza dei Martiniani già all’epoca di Agapito I e cancellata dalle invasioni degli Ungari del 904 e del 937.

Il posto però sarebbe adatto ad un monastero martiniano.

Nel 1130 si insediano alla Croce i canonici di S. Maria di Reno ed il Monastero entra nella loro giurisdizione.

Il culto di S. Martino: fede, arte e folclore.

Il culto di S. Martino è diffuso in tutto il mondo, non solo in Francia, della quale il Vescovo di Tours è protettore e dove gli sono state dedicate chiese, abbazie e cappelle, ed in Ungheria, ove il Santo vide la luce. Martino è onorato anche in Italia, perché qui egli ha trascorso diversi anni, quindi è anche “un poco nostro“. Pure in Germania e Gran Bretagna molti santuari portano il suo nome e chiese gli sono state dedicate pure negli USA.

La Francia rimane comunque la patria d’adozione del Santo: a Tours gli hanno dedicato un museo, presso il quale opera un attivissimo Centro Studi che promuove convegni, ricerche e pubblicazioni.

La festa di S. Martino (11 novembre), meteorologicamente definita “ estate di S. Martino”, cade in un momento particolare dei lavori in campagna: siamo alla fine della vendemmia, quando si spilla il vino nuovo, il “vino di S. Martino“. Siamo anche al termine della annata agraria, quando scadono i contratti d’affitto dei campi o di mezzadria e talvolta i contadini debbono cambiare il posto di lavoro, debbono, in concreto, “fare San Martino“ (i contratti d’altro tipo, invece, scadono per la festa di S. Michele, per cui “ si fa S. Michele”!).

Dove la festa del Santo viene celebrata, sono proprio queste scadenze a dare origine a delle fiere e dei mercati particolarmente importanti.

Per la solennità di questa giornata nelle campagne veniva cucinata un’oca. L’oca era considerata “il maiale dei poveri“ perché, come per il maiale, non ne va sprecato nulla, con una differenza: allevare un maiale costa, occorre un minimo capitale da investire. L’oca invece si acquista con un prezzo ragionevole e si mantiene da sola, basta avere un corso d’acqua vicino. Anche il povero avrà un succedaneo del maiale e ne ricaverà la carne, le pregiatissime interiora, il grasso,, salame, prosciutti, penne, piumino e pure il becco e le ossa cave. Il sacrificio dell’oca si faceva ai primi di novembre, perciò Martino viene spesso rappresentato con un’oca a fianco (però con una nobile giustificazione: uno di quei volatili l’avrebbe avvisato dell’ arrivo di nemici).

La popolarità del Vescovo di Tours è sempre stata tanta che molte corporazioni lo hanno eletto come loro protettore: gli ecclesiastici (ovviamente) i soldati ed i cavalieri (altrettanto ovviamente), i viaggiatori (che attaccavano un ferro di cavallo alle chiese che gli erano intitolate, gli osti, con gli albergatori ed i vignaioli (per la coincidenza con la vendemmia) ed una categoria che non ha rappresentatività ufficiale: i becchi. Una leggenda, che non trova ovviamente riscontro in Sulpicio, dice che Martino da giovane si fosse sposato, ma la moglie poco convinta a condividere le scelte ascetiche del marito, diventò un po’ troppo frivola, comportamento che il Santo sopportava con cristiana rassegnazione. Sono storie che finiscono nei lazzi: a S. Arcangelo di Romagna, l’11 novembre, mettono due corna all’Arco Romano, sotto il quale gli uomini della cittadina possono fare una corsa, a scopo precauzionale.

Per fortuna Martino non se la prende, anche perché era un uomo buono che. Quando era vescovo condusse delle battaglie contro la pena di morte, affrontando i magistrati locali e gli stessi imperatori in quel momento in carica. In un certo senso fu anche un antesignano della libertà di coscienza. Con gli eretici, in modo particolare, si deve fare un’opera di convincimento per emendarlo dall’errore, ma non è lecito punirlo o condannarlo solo per le sue idee: è un caso di libertà di coscienza.

La personalità del santo ha dato luogo, nel Medio Evo, al fiorire di leggende, che non hanno però alcun riscontro storico, ma sono frutto dell’affetto del popolo, così sempre per affetto, in alcune zone è Martino a portare i regali ai bambini. Però a quelli buoni: per gli altri il pastorale del Santo potrebbe diventare il “ bastone di S. Martino” od il frustino da ufficiale (detto “ martinetto”) si capisce bene dove potrebbe colpire!

E’ evidente che una vita come quella del nostro Santo ha dato spunto per la creazione di innumerevoli opere d’ arte: pitture, sculture, vetrate, arazzi.

Gli episodi da rappresentare sono tanti, dall’incontro col povero alla monacazione, all’elezione a vescovo (un vescovo straordinario, vestito come S. Giovanni Battista) poi tutti i miracoli , la carità e le virtù, fino all’Apoteosi finale in Cielo.

Guardiamo S. Martino come un esempio valido allora come oggi ed oggi con qualche valore in più.