Curiosità

  • La parola bregoli dal dialetto 'breguàl' fa riferimento ai rami secchi e spezzati che i casalecchiesi raccoglievano per una consuetudine lungo il sentiero. Lo scopo era duplice da un lato il privato si approvvigionava di legna per l'inverno, dall'altro si teneva pulito dal punto di vista forestale il sentiero. L’aspetto più divertente dal lato linguistico, è che se i casalecchiesi chiamano il sentiero Bregoli, i bolognesi invece li chiamavano Brigoli. La differenza la racconta Alberto Menarini nella sua “Modi e detti Bolognesi”: <tuttavia, tali stiappe o sterpi si chiamano in dialetto bràgguel (dal sing. Braggla), al femminile e non al maschile, e a Bologna la denominazione italiana di tale sentiero è i Brigoli (piuttosto che Bregoli) che corrisponde a quella dialettale de i Brègguel. Ci sembra nel giusto l’Ungarelli che nel suo vocabolario mantiene Bragla (stiappe, schegge di legno da bruciare) separato da brèguel ( luogo scosceso e selvaggio) e raffronta questo al vecchio briqula del Pentamerone e al bricca (dirupo) del Berni ( e noi aggiungiamo del Pulci): tali antiche voci in bric-, di origine mediterranea, sono infatti diffuse nei nostri dialetti settentrionali, provenzali e francesi col senso di <luogo scosceso, dirupo>, e richiamano gli altrettanto antichi bèccola, briccola <ciottolo, ghiaia>. Sembra quindi che le schegge di legno non centrino.


  • Modi e detti:
    • Nel dialetto bolognese dire ad una persona "va mo so e zò par i bregual" è come dire stammi alla larga, vai a disturbare altrove.

    • Inoltre dire "Andèr za pr i Brèggual" significava, anche, andare ad amoreggiare.

  • Laura Betti e i Bregoli:

.........Quell’anno, 1965,Laura Betti con al pianoforte Ubaldo Crivelli, uscì con un 33 giri, pubblicato dai “Dischi del Sole”, DS 40, serie “Cabaret all’italiana”, (“Laura Betti, Ordine e Disordine” a cura di Michele L. Straniero), a cura di Filippo Crivelli - nel quale vi era una canzone “Ai Brigoli di Casalecchio”, con testo di Massimo Dursi e musica di Valentino Bucchi........ vedi tutto

Senti la canzone originale

I Bregoli in musica: dai motivi popolari alla canzone d’autore.

A cura di Pier Luigi Chierici e Alessandro Menzani.

Fra le canzoni dialettali bolognesi, molte contengono riferimenti al sentiero dei Brigoli, alle passeggiate domenicali da e per il santuario della Beata Vergine di S. Luca, a tutto il folclore che era collegato a queste avventurose spedizioni.

Queste canzoni dialettali bolognesi, con nostalgia ed ironia, rievocano un mondo lunarmente lontano ed ormai irraggiungibile. Penso, in particolare alla canzone “Col tranvai”, testo di musica di, edizioni.

È la storia, romantica e grottesca, di una coppia di giovani che, nella prima metà del secolo scorso, vorrebbero trovare pochi minuti di intimità. L’occasione sembra presentarsi durante una passeggiata a S. Luca, ma l’aspettativa viene vanificata dalla presenza del fratello di lei, un bambino invadente e pestifero che non molla i due morosi né su per i portici, né davanti al Santuario e tantomeno giù per i Brigoli. Solo sul tramway di Casalecchio, che, a sera, li riporta in città, la piccola peste crolla addormentata ed i due fidanzati, dolcemente cullati dal dondolio della vettura, possono stare un po’ stretti ed avere quella vicinanza che tutto il giorno avrebbero voluto poter trovare.

Così andava il mondo fino a sessant’anni fa!

Nel 1965 però i Brigoli (chiamati proprio “Brigoli”, alla bolognese e non “Bregoli”, come si dice Casalecchio) ebbero una risonanza nazionale grazie a Laura Betti, una delle più prestigiose interpreti della canzone d’autore.

Quell’anno Laura Betti con al pianoforte Ubaldo Crivelli, uscì con un 33 giri, pubblicato dai

“Dischi del Sole”, DS 40, serie “Cabaret all’italiana”, (“Laura Betti, Ordine e Disordine” a cura di Michele L. Straniero), a cura di Filippo Crivelli - nel quale vi era una canzone “Ai Brigoli di Casalecchio”, con testo di Massimo Dursi e musica di Valentino Bucchi.

Per la cantante fu una scelta molto azzardata, perché bisognava far capire a tutti, in ogni parte d’Italia, cosa sono i Brigoli e tutti i loro significati (dalla geografia agli stati d’animo).

Laura Betti era di Casalecchio, prima della guerra abitava in Via Garibaldi e si era trasferita in città solo perché la sua casa era stata bombardata. Poi la vita artistica l’aveva portata a Roma, ma a Bologna tornava sempre perché qui aveva i parenti e amici.

Durante una di queste rimpatriate, Massimo Dursi le aveva fatto leggere una poesia che aveva composto, dedicata proprio ai Brigoli e la cantante l trovò bella e adatta ad essere musicata.

Massimo Dursi (pseudonimo di Otello Vecchietti, 1902-1982) era uno scrittore e giornalista,

collaborava con il Resto del Carlino, ed uno dei più prolifici autori teatrali.

Dursi era bolognese, conosceva bene i Brigoli e tutto l’immaginario collegato, ma il luogo non gli evoca immagini gioiose, anzi!

La poesia che scrive è triste e disperata.

È il canto di una donna che dalla vita ha avuto solo preoccupazioni e delusioni. La donna racconta che, da ragazza, andava per i Brigoli col moroso. Avrebbero voluto sposarsi e lo avrebbero fatto quando lui avesse avuto un aumento di stipendio; intanto andavano per i Brigoli come prima avevano fatto i loro genitori. Poi arrivò l’aumento e poterono sposarsi ma il nuovo posto comportava maggiori responsabilità così l’uomo, manovrando un macchinario, si rovinò una gamba. Intanto era scoppiata la guerra ma, per la sua malformazione, il marito era stato riformato. Quando suonava l’allarme di un bombardamento i due sposi cercavano rifugio sui Bregoli, però l’uomo non era più in grado di correre e rimaneva ai piedi del colle e là, l’ultima volta, rimase vittima di un ordigno che non aveva un bersaglio. La moglie, che andò a prendere il corpo, maledice il mondo per quella morte stupida e si chiede: se non avesse avuto l’aumento di stipendio non ci saremmo spostati, non avrebbe avuto l’incidente, non sarebbe stato riformato, sarebbe andato in guerra come gli altri e forse sarebbe anche tornato, magari da un campo di prigionia. Se non gli avessero aumentato lo stipendio, non saremo stati più felici?

Una domanda assurda, per una morte assurda ed una vita che è diventata assurda.

Ricevuta la poesia, con un biglietto Laura Betti si rivolse al mastro Valentino Bucchi perché la

musicasse: “Caro Maestro,sono passata da Bologna varie volte (sempre per pochissimo tempo) e non sono mai riuscito a trovarla al Comunale. Le invio questo testo di Massimo Dursi che mi pare molto bellino. In Aprile debbo venire alla Ribalta per una rentrée e mi piacerebbe molto portare questa canzone così bolognese, musicista da Lei che ormai ne è cittadino onorario. Mi piacerebbe sapere che ne pensa e se le piace…”

Valentino Bucchi (Firenze 1916 – Roma 1976) era un musicista e musicologo allievo di Vito Frazzi e di Luigi Dalla piccola. Aveva composto diverse opere (la più nota: “Il contrabbasso”, 1954, balletti, il mistero coreografico “Laudes Evangelii” (1954), musica da camera, sinfonica e colonne sonore da film. In quegli anni Bucchi era direttore artistico del teatro Comunale di Bologna (carica ricoperta dal 1963 al 1967) ed aveva già collaborato con Massimo Dursi che gli scriverà anche il libretto per un’opera destinata al Maggio Musicale Fiorentino del 1972..

Fra il musicista e lo scrittore vi era una sintonia, un modo di intendere che ben risulta dalla canzone dedicata ai Brigoli ed alla quale Laura Betti aggiungerà tutta la sua sensibilità artistica.

I Brigoli diventano così il luogo universale dove ci si ama e si muore e dove si sviluppa tutta la storia di due diradati ai quali l’apparente beneficio di un miglioramento di vita innesca una serie di tragiche vicende.

La musica di Bucchi si adatta allo sviluppo narrativo del racconto, prima con un ritmo di 6/8 tipico delle ballate dei cantastorie, poi un tempo di valzer, che si fa più serrato nell’esplosione della violenza della guerra, per concludersi nella domanda di commiato: “perché gli faceste l’aumento?”. Che riprende l’andamento di 6/8 iniziale, smorzandosi lentamente. Per motivi editoriali non possiamo dare che la prima pagina dello spartito (che è di 12 facciate). Chi è interessato può trovarlo integralmente nel volume: Parole d’autore Musiche di Valentino Bucchi, Premio Valentino Bucchi, Periodico mensile anno XXII n. 8 agosto 2002. Chiudiamo questa nota con un ricordo di chi portò al successo questa canzone, la casalecchiese Laura Betti (pseudonimo di Laura Trombetti, nata a Casalecchio di Reno nel 1927 e morta a Roma nel 2004). Giovanissima esordì come cantante jazz, poi si dedicò al teatro, alla radio ed alla tv. Fu fra i primi artisti a far conoscere in Italia l’opera musicale di Brecht. Nel 1959 interpretò se stessa nella dolce vita di Fellini e questo le aprì la strada del cinema in parti fortemente caratterizzate. È noto il suo sodalizio artistico con Pisolini, dopo la cui morte conservò l’archivio, successivamente donato alla Cineteca di Bologna. Nel 1978 scrisse anche un romanzo autobiografico (Teta Velta) Casalecchio l’ha voluta ricordare intitolando a lei ed a Pasolini la sala multimediale della Biblioteca.

Si ringrazia la Fondazione Valentino Bucchi, Roma. QUI la pubblicazione in originale.



  • I Bregùel...ricordi di Carlo Venturi

Sono nato alla Luna in località Croce nel 1925 e mi sono trasferito alla Fondazza di Casalecchio all'età di due anni. I miei ricordi dei Bregoli si confondono con quelli della mia infanzia avendo trascorso tante ore di giochi con gli amici tra gli alberi del bosco dei Bregòli.

Il nome Bregòli deriva dal nome dialettale bregùel e designa fin dall'antichità il bosco che costeggia il sentiero che porta al Santuario di S.Luca.

Il bosco era abitualmente curato dai boscaioli-taglialegna che per tagliare gli alberi e procurare legna da ardere utilizzavano, non essendoci ancora le seghe elettriche, delle semplici e taglienti accette denominate “manaren”. Per tagliare gli alberi i boscaioli colpivano ripetutamente il tronco con l'accetta imprimendo forza con entrambe le mani. Colpo dopo colpo la corteccia si riduceva in tante schegge che venivano chiamate braguel che poi nel linguaggio comune sono diventate bregole.

Concluse le operazioni di taglio si doveva raccogliere la legna tagliata e pulire il bosco dalle schegge rimaste sul terreno. Per fare questo i boscaioli si facevano aiutare da persone in condizioni disagiate, ed alla fine a queste venivano lasciate le bregole così la legna andava al proprietario del bosco che pagava i boscaioli per il lavoro effettuato, ma non doveva spendere nulla per la pulizia del bosco effettuata dalle persone disagiate in cambio delle bregole che avrebbero poi usato per scaldarsi.

Era tradizione dei bolognesi andare per Pasqua e Pasquetta in visita al Santuario della Madonna di S. Luca. I più abbienti e le persone in condizioni fisiche non adatte ad affrontare la ripida salita dei portici andavano al Santuario utilizzando la Funivia Bologna-S. Luca che aveva la Stazione a valle vicino all'incrocio della Porrettana con via Duca d'Aosta, ora via Andrea Costa. La maggioranza degli altri visitatori partivano dal portico del Meloncello e in segno di devozione alla Madonna salivano a piedi fino al Santuario, poi andavano in Chiesa a pregare e a chiedere una grazia. Tante altre persone salivano al colle di S. Luca per fare una bella scampagnata e trascorrere una giornata all'aria aperta in mezzo al bosco e mangiare al sacco. A mezzogiorno si andava tutti a mangiare: chi se lo poteva permettere andava al ristorante, generalmente erano le stesse persone salite in funivia, mentre le altre aprivano il sacco che conteneva pane, formaggio, mortadella, prosciutto, salame ed un buon numero di bottiglie di vino per mantenere allegra la compagnia.

Dopo il pranzo alcuni si permettevano un breve riposo sdraiati nei prati tutt'attorno al Santuario e qualche coppia di giovani si appartava per qualche momento di piacevole compagnia e posso dire con certezza che tanti amori sono nati proprio durante le gite pasquali a S. Luca che probabilmente ha benedetto il loro incontro.

Verso le 15 si veniva giù dai bregoli e si arrivava a Casalecchio. Nel corso della discesa si incrociavano alcuni sentieri e immancabilmente qualcuno poco pratico sbagliava sentiero e andava incontro al rio della Pizzacchera per poi tornare indietro e riprendere il sentiero giusto. A metà del percorso il sentiero dei Bregoli costeggiava lo sbalzo della Pizzacchera che consisteva in un burrone profondo circa 50 metri particolarmente pericoloso in caso di pioggia che rendeva il terreno scivoloso. In seguito all'ennesima scivolata, seppur senza conseguenze, il Comune decise di costruire un muretto ed una staccionata in ferro per evitare ulteriori cadute.

Una volta giunti a Casalecchio ad aspettare bambini e ragazzi c'erano nel prato della Fondazza giostre di ogni tipo: l'autopista, la giostra volante, il tiro a segno, il tiro ai bussolotti, le barchette e la giostra ed Sandren alla cui morte subentrò la moglie Rosina. La giostra consisteva in una struttura circolare in ferro a cui erano applicati dei cavalli di legno. Sui cavalli montavano i bambini più piccoli e noi ragazzi della Fondazza spingevamo la base fino a raggiungere una certa velocità dopodiché saltavamo sulla giostra anche noi...senza spendere un soldo perché il nostro giro di giostra ce lo eravamo guadagnato spingendo la giostra.

La devozione dei casalecchiesi per la Madonna di S. Luca è sempre stata molto intensa e si manifestava anche nella mensile salita per i Bregoli per adempiere alla Via Crucis. Lungo i Bregoli erano poste, ed in gran parte ci sono ancora oggi, le Stazioni della Via Crucis.

Questa tradizione era stata introdotta da Don Filippo Ercolani, Rettore della Parrocchia di S. Martino dal 9 luglio 1913 al 28 settembre 1940, e poi mantenuta anche dal suo successore, l'amatissimo Parroco Don Carlo Marzocchi. L'entrata in guerra dell'Italia provocò il lento abbandono di questa tradizione anche perché molti giovani, che partecipavano con entusiasmo alla cerimonia, vennero chiamati alle armi e così anche Casalecchio iniziò a conoscere i disagi della guerra.

All'inizio del 1943 all'inizio dei Bregoli è stato costruito un rifugio antibomba dedicato all'eroe fascista Ettore Muti. In questo rifugio trovavano accoglienza oltre 300 persone che scappavano dalle loro abitazioni ogni volta che suonava l'allarme che avvertiva di un imminente bombardamento aereo. Il rifugio era molto sicuro, ma la strada per arrivarci era completamente allo scoperto e così diverse persone hanno perso la vita nel tentativo di raggiungerlo. All'inizio il rifugio era essenzialmente un luogo di “soggiorno” temporaneo in quanto, una volta sentito il suono della sirena che annunciava il cessato allarme, ognuno tornava nella propria casa.

Il 16 giugno 1944 è stato effettuato il primo massiccio bombardamento aereo sul centro di Casalecchio e che ha consegnato definitivamente alla memoria dei vecchi casalecchiesi il ricordo dell'intero borgo della Fondazza, completamente distrutto, e lasciato senza tetto oltre venti famiglie fra cui la mia. Alcune di queste famiglie trovarono una provvidenziale quanto disagiata sistemazione nei locali del rifugio e lì sono rimaste fino alla fine della guerra nell'aprile del 1945.

Io ero andato a fare il partigiano sulle colline di Marzabotto e quando, una decina di giorni dopo la liberazione, sono tornato a Casalecchio, ho visto solo macerie, desolazione, nessuno per le strade a cui chiedere informazioni, la mia casa distrutta e non avevo idea di cosa fosse successo alla mia famiglia. Erano già le otto di sera e improvvisamente ho sentito il suono delle campane della chiesa di S. Martino e ho pensato che almeno alla chiesa c'era qualcuno e sono subito corso a S. Martino. Qui Don Carlo mi ha accompagnato al rifugio dove ho potuto riabbracciare la mia famiglia dopo quasi un anno di lontananza nel corso del quale non avevo avuto di loro nessuna notizia.