La via della Cavera

La strada che da Casalecchio congiunge Sasso Marconi, alla scoperta della vecchia strada della Porrettana. Una strada che percorre la mezza collina alla destra del Reno, ormai sconosciuta, ma di grande attualità escursionistica.

Come percorrerla.

La storia:

"In appoggio od in alternativa ai percorsi di crinale, o in previsio­ne di una diversa politica sulla mobilità, nel 1262 il Comune di Bologna stabilì che venisse costruita una nuova strada sulla sponda destra del Reno “... lungo la quale vengono i mulattieri da Pisa, da Pistoia e dalla Toscana.., ed il legname da vendere alla città di Bologna attraverso il Ponte di Casalecchio ...”.

Questa via partiva da Vizzano, toccava La Tomba (termine medioevale che indica una fattoria fortificata, con abitazione, magazzini e stalle) La Casetta, Ragazzon, la Cà Bianca, fino alla Chiesa di S. Martino, attraverso quella che ora è una via interna del Parco Talon Sampieri ma, fino all’inizio del secolo scorso, era la Via Pubblica della Cavera.

Il percorso da Vizzano a Casalecchio i bolognesi lo vollero forte­mente perché, oltre a semplificare il transito, permetteva un controllo costante delle sponde del fiume, le cui acque erano utilizzate per la fluitazione del legname tagliato nei boschi dell’Alto Appennino e fatto derivare, mediante la corrente del Reno, fino alla Chiusa di Casalecchio. La strada facilitava anche il trasporto in città dei blocchi di selenite e del gesso ricavati dalla “cavera” (cava di estrazione) che era fra la Cà Bianca ed il sovrastante borgo di Gesso (ora det­to anche “dei Gessaroli”). La costruzione della strada da Vizzano a Casalecchio rientrava in un disegno politico preciso, perché era prevista negli Statuti per l’anno 1250 “.., strata unde venunt Mulateri de Pisa et Pistorio et de Tuscia et mercata lignorum ad civitatem bononie versus pontem caslichi...” ed ancora “ ... strata que itur a civitate Bon. ad Pistorium per Saragociam usque ad Sassum Grossine ...” (la strada che va da Bologna a Pistoia attraverso Via Saragozza verso Sasso ...). Per realizzare l’opera furono chiamati tutti i Comuni rurali attra­versati: Casalecchio, Paderno, Sabbiuno, Pieve del Pino, Ancognano e Vizzano. Gli abitanti di queste comunità dovettero costruire tutto il tracciato della strada ed avevano l’obbligo di mantenerlo “salgato”, cioè col fondo bene inghiaiato. Valga, a tal proposito, il richiamo del Capitano del Popolo che, nel 1286, ordinò al Massaro di Casalecchio di tenere inghiaiato il tratto di sua competenza della “...strata caragocce usqua ad Sassum Glossina per quam itur pistorium ...” (la strada di Saragozza fino al Sasso attraverso la quale si arriva a Pistoia ...). Soffermiamoci un momento sul toponimo “Glosina” o “Gròsina” (accento sulla “o”) che affianca il nome di Sasso lo troviamo in tutti i documenti medievali. Quella che noi indichiamo come “Rupe di Sasso” era chiamata “Sasso di Glosina” perché, secondo una etimologia fantasiosa, assomigliava ad una robusta lingua (che in greco si dice “glossa”). Forse potrebbe essere un ricordo della forte presenza bizantina nella zona nei secc. VI—VII della nostra Era.

La Rupe è uno sperone di arenaria compatta che, un tempo, veniva estratta e tagliata per ottenere materiale da costruzione o pietre da affilare i coltelli e le lame.

IL COMPLETAMENTO DELLA VIABILITA’ MEDIOEVALE BOLOGNESE

"Per completezza di informazione, il Comune di Bologna provvide anche a migliorare i collegamenti verso Modena e le altre città emiliane obbligando i Comuni rurali frontalieri a tenere inghiaiata la Strada Pedemontana da Casalecchio a Bazzano che, da quel momento, verrà chiamata Via Predosa (cioè con un fondo di buone pietre). Finché non sarà completamente ripristinata la Via Emilia, la Strada Predosa sarà un asse di collegamento primario. A Zola si distacca un percorso lungo la Valle del Lavino che viene indicato come “Cassìola”, cioè una diramazione della Via Cassia che portava a Roma e che viene considerata una variante, fra le tante, della Francigena percorsa dai pellegrini.

LA FLUITAZIONE DEL LEGNAME LUNGO IL RENO E LE STRADE DI FONDO VALLE.

Quella da Casalecchio a Sasso non è l’unica strada costruita da Bologna lungo l’alveo del Reno (o, in certi casi, praticamente dentro) nel sec. XIII. Se ci spostiamo con l’occhio e la mentalità di un viaggiatore medioevale, Reno, col suo carattere torrentizio, quindi con molti periodi di secca, permette spostamenti, anche per lunghi tratti, utilizzando come strade rive e ghiareti. Ciò vale anche per il Setta, il cui corso, a monte ed a valle di Vado (= guado) era il più pratico modo di spostarsi lungo l’asse fluviale per i locali e per i viandanti che provenivano da Monzuno o da Caprara sopra Panico. I tratti di fondovalle del Reno, invece, oltre al normale traffico, costituivano anche un presidio per il controllo della regolare fluitazione dei legname destinato alla città.

Ricordiamo che il Medioevo è una “civiltà del legno”. Salvo gli edifici religiosi, tutte le case private erano in legno e paglia (nella migliore delle ipotesi, in pietra e legno, come il Palazzo Isolani di Strada Maggiore detto anche “delle Tre Frecce”, o Palazzo Grassi di Via Marsala). La prima casa privata costruita interamente in pietra è stato il Palazzo Bevilacqua di Via d’Azeglio, ma siamo già nel l477-1482 !

Nel Medioevo il legno era usato come combustibile, in edilizia, nella sistemazione del territorio, ma anche per costruire la maggior parte di quegli oggetti per i quali oggi impieghiamo il ferro od altri metalli.

Il corretto e continuo rifornimento del legname in città era uno dei principali compiti dei poteri pubblici.

Nei 1293 il Comune di Bologna nominò una commissione che doveva stu­diare la fattibilità di dirottare in Reno, attraverso il Torrente Silla, l’acqua del Dardagna, che è uno dei principali affluenti del Panaro. L’impresa avrebbe dovuto portare un duplice vantaggio: aumentare la portata del Reno (quindi del nostro Canale) e far fluitare i tronchi tagliati nei boschi sotto il Lago Scaffaiolo. Il primo parere della commissione fu favorevole per cui furono mandati sul posto alcuni tecnici per stendere il progetto operativo. L’iniziativa andò in porto, il Dardagna venne sbarrato e venne scavato un canale attraverso la montagna. La località, da quel momento, prese il nome di Poggiol Forato. Reno ebbe così lo sperato incremento idrico ed i legni cominciarono a fluitare dal nuovo canale al Silla, da questo in Reno e giù fino alla Chiusa di Casalecchio. Qui i tronchi potevano essere caricati su dei carri e portati in città, oppure potevano eventualmente anche venir dirottati nel canale, con la dovuta salvaguardia delle ruote idrauliche degli opifici (che erano tutte costruite in legno).

Nella fluitazione l’invio dei tronchi andava continuamente sorvegliato perché il Reno non è il Missisipi e non dobbiamo pensare alla zattera di Huchleberry Finn che poteva navigare tranquilla da sola, finché non fosse arrivata a destinazione. Da noi, invece, le strade rivierasche aiutavano le squadre di boscaioli che, con pertiche e pungoli, mantenevano la rotta dei tronchi nel loro andare.

Il Canale del Dardagna, comunque, non ebbe vita facile perché i Modenesi non potevano tollerare che il Panaro venisse scippato del suo più importante affluente. Ciò alimentò la disputa sui confini in quell’area che era già abbastanza contesa e vedeva contrapposti gli interessi delle due città ed anche quelli dell’Abate di Nonantola (che aveva dei feudi nella zona).

Dopo mezzo secolo di controversie diplomatico-militari, i modenesi riuscirono a fare un’azione di forza e ad abbattere la chiusa e gli impianti di derivazione. Da allora dovemmo rinunciare all’acqua del Dardagna ed i tronchi furono portati al Silla a basto di mulo. Rimase il canale secco, ove ora corre la strada che, da Vidiciatico, porta a Madonna dell’Acero.

DECADENZA DELLA STRADA DELLA CAVERA

"La strada da Casalecchio a Sasso sulla riva destra del Reno dal sec. XV in poi conobbe un lento declino, ma continuò a venire usata fino alla costruzione della Porrettana (1813, progetto ing. Giovan Battista Martinetti). Però venne usata, in maniera sempre più sporadica, ancora per un secolo.

I motivi dell’abbandono sono diversi e concomitanti. Intanto la strada attraversava terreni di natura geologica diversa: se il tratto vicino a Vizzano poggiava sul solido contrafforte pliocenico e la parte verso Casalecchio su un ben compatto terreno fertile, in mezzo la strada passava attraverso la scoscesa “vena del gesso” ed una ben più problematica zona calanchiva che la rendeva instabile e ballerina, quindi di difficile ed onerosa manutenzione.

Però il motivo vero dell’abbandono è un altro. Man mano che il Comune di Bologna affermava la sua giurisdizione lungo la Valle del Reno, sottraendola ai feudatari locali, le principali famiglie cittadine avevano fatto degli investimenti in queste nuove zone. La sponda sinistra del Reno fra Casalecchio e Sasso, pianeggiante e relativamente vicina alla città, presentava delle interessanti prospet­tive economiche. Saranno questi nuovi proprietari (che, fra l’altro, sono coloro che detengono il potere in città) a chiedere al Comune di Bologna di garantire la sicurezza nella zona da incursioni e villanie dei vecchi feudatari e da malversazioni portate da gente di malaffare. Chiedono anche che il Comune assicuri una viabilità adeguata poiché strade ed infrastrutture sono la garanzia di uno sviluppo adeguato. Così si viene lentamente delineando quello che sarà il futuro tracciato della Porrettana, la strada di fondovalle del Reno, ma solo nel XVII secolo si arriva a formulare dei progetti concreti e ad avviare un dibattito fra due correnti di pensiero: chi difende la tradizionale strada di cresta e chi invece propone il rivoluzionario percorso di fondo. Naturalmente dietro questo acceso dibattito ci sono gli interessi dei grandi proprietari. Tutto poi si arena per mancanza di fondi.

Neppure l’arrivo dei francesi (19 giugno 1796) porta delle novità. Napoleone è interessato solo alle strade militari ed ai collegamenti con la Francia. In questi anni, però, a Lizzano in Belvedere, si sviluppa una nuova industria: l’estrazione dell’olio di faggiola (estratto dai semi del faggio) per uso alimentare, tera­peutico e come combustibile. I produttori di questo olio premono per avere comunicazioni rapide con i mercati. A Bologna prende allo­ra corpo un progetto definitivo per la Porrettana di fondovalle redatto dall’ing. Giovan Battista Martinetti. Il primo tratto da Casalecchio a Sasso viene completato nel 1813, poi la strada arriverà a Porretta nel 1848.

Da questo momento il vecchio percorso medioevale sulla riva destra da Casalecchio a Vizzano perde ogni funzione. Continuerà però ad essere usato dai locali, anche perché, lungo questa via, ci sono delle case coloniche e dei campi coltivati.

Poi, sopra alla Cà Bianca, c’è la “Cavera”, una piccola industria di estrazione del gesso a cielo aperto, lavorazione dei blocchi di selenite ad uso edilizio od ornamentale o la loro cottura per ot­tenere il gesso in polvere.

La vena di Casalecchio è però un affioramento marginale, che venne sfruttato per quel che era sfruttabile, per un mercato locale, ma la cui produzione, all’inizio del Novecento, non poteva reggere alla concorrenza di cave più ricche e meglio organizzate. Abbandonata anche dai cavatori, la strada venne privatizzata dai marchesi Talon Sampiéri che fecero un accordo col Comune di Casalecchio